Il neoateismo come nuova forma di fede

Copertina Libro_Eugenio Lecaldano, Senza DioAppare evidente che emergano sempre di più, nel dibattito delle idee e delle opinioni, alcune concezioni radicali del mondo, le quali espellono in modo dogmatico qualsiasi alternativa, dando per scontato che il loro “punto di vista” sia il vero punto di vista. Ciò, nella storia del pensiero, si è sempre manifestato. Tuttavia, oggigiorno, alcuni dei più forti integralismi provengono da aree geografiche del pensiero che, nella storia, hanno sempre subìto la pressione di integralismi più forti e vincenti.

Vorremmo cominciare a ragionare, quindi, su un nuovo integralismo che, da qualche anno sta da una parte conducendo giuste battaglie per il riconoscimento e la libertà, ma dall’altra si concentra nella pratica dogmatica di affermare se stesso come unico e indiscutibile orizzonte di verità.
Si sta parlando del così detto neoateismo, dei quali fanno parte – per dire alcuni nomi – il compianto Cristopher Hitchens, Richard Dawnkins, Daniel Dennet, Sam Harris. La migliore definizione di questo “movimento”, il quale, nonostante alcune differenze, converge in modo quasi totale verso la definizione che ne dà nel suo ultimo volume Eugenio Lecaldano: «il neoateismo indica nel non credere e in un’esplicita negazione dell’orizzonte religioso una fuoriuscita dalla gabbia delle contrapposizioni che così fortemente segnano il nostro tempo. L’ateismo […] viene così proposto come l’unica prospettiva in grado di evitare le guerre di religione che sembrano avere segnato i primi anni del XXI secolo» ((E. Lecaldano, Senza Dio, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 42-43.)).

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La religione, nel bene e nel male

Negli ultimi giorni, come spesso accaduto recentemente, il dibattito pubblico ha riproposto il tema del ruolo della religione, ed in particolare del cristianesimo, nell’ambito della società. Gli interventi sono stati diametralmente diversi, a riprova del fatto che la religione costituisce un tema sempre aperto e dagli esiti incerti. Abbiamo pensato di dare conto di alcuni di questi contributi insieme ad una nostra guida ragionata.

Cristianesimo minacciato?
Ernesto Galli della Loggia, noto editorialista del Corriere della Sera, ci informa in un articolo apparso domenica 2 giugno 2013, che è in atto in Europa una gigantesca rivoluzione antireligiosa che si presenta, per ovvie ragioni storiche e culturali, come una grande rivoluzione anticristiana. I fatti che lo storico porta a dimostrazione di questa tesi sono principalmente una serie di offese ed altre “sanguinose contumelie” tratte da una denuncia del quotidiano Avvenire e dal sito web intoleranceagainstchristians.eu. Galli della Loggia continua sostenendo che i segnali di questa persecuzione anticristiana sarebbero poi la cancellazione dell’erogazione di fondi alle istituzioni cristiane; il fatto che in alcune sedi scolastiche le vacanze invernali avrebbero sostituito, nella dicitura ufficiale, le tradizionali vacanze di Natale; la cancellazione della libertà di coscienza nelle professioni mediche e paramediche. Tutti casi che dovrebbero suscitare la preoccupazione di qualunque coscienza liberale.
Noi di RF, che religiosi non siamo ma liberali sì, non neghiamo che si siano verificati e si verifichino atti di violenza verso i cristiani ma avvertiamo una sorta di insopportabile rovesciamento del problema. “L’intolleranza verso la religione” recitava l’occhiello dell’articolo: la portatrice storica dell’intolleranza, ora sarebbe divenuta a sua volta oggetto di intolleranza. Sembra un ossimoro. O forse una nemesi. Qualsiasi cosa sia, l’idea della rivoluzione anticristiana in atto, che determinerebbe un’inversione di tendenza in un dominio bimillenario e spesso violento esercitato dall’autorità religiosa nei confronti di chi non si sottomesse al suo dominio, è sproporzionata, così come la tesi secondo la quale la libertà dei cristiani appare “oggettivamente” in pericolo.

In primo luogo, tale tesi poggia su un elenco di singoli casi forniti dal quotidiano dei Vescovi italiani e da un osservatorio europeo di ricerca. Per quanto degne di essere prese in considerazione, riteniamo che esse non siano paragonabili, per una seria analisi storica, alle violentissime persecuzioni imbastite per secoli contro il pensiero liberale italiano ed europeo. Per restare alla storia moderna, ricordiamo soltanto le persecuzioni protonaziste contro gli ebrei da parte cattolica avvenute in Spagna e Portogallo alla fine del XV secolo; le terribili guerre di religione dei secoli successivi; le umiliazioni che fino ad epoca recente, intellettuali, uomini di cultura, pubblici impiegati hanno dovuto affrontare per dichiarare la propria fedeltà ad un’opinione che non era la loro.

In secondo luogo è quantomeno singolare che il quadro riportato da Galli della Loggia non tenga conto della fortissima posizione di potere che la religione cristiana conserva abbondamente in Italia e in Europa. Posizione di potere che permette, ad esempio, di coprire una lunga storia di abusi e violenze nei confronti dei minori; di beneficiare di un rango tuttora privilegiato nei confronti delle altre religioni e che in Italia pone la Chiesa cattolica (nonostante la modifica dei Patti concordatari) come autentica religione di Stato. Si potrebbe continuare citando il finanziamento operato con l’otto per mille, le esenzioni fiscali, le norme ancora in vigore nei codici a tutela della religione, le nuove leggi restrittive in tema di etica, la gestione educativa delle giovani generazioni che la Chiesa si arroga come un diritto (e che, va detto, molte famiglie le riconoscono). Noi non arriviamo a dire che questi fatti siano da considerare come prova di una persistente negazione dei diritti da parte cristiana. Ma che si debba rovesciare la frittata spacciando la pur innegabile diminuzione di influenza del cristianesimo come una persecuzione contro i cristiani è francamente eccessivo e suona come una presa in giro. Che cosa deve temere la religione in un Paese, tanto per rimanere in Italia, dove i più grandi pensatori laici e liberali sono stati spesso ridotti in cenere, fisicamente e metaforicamente? Dove la tradizione filosofica che più ha messo radici, quella idealistica, è figlia di un sistema (quello hegeliano) che ha saldato in modo granitico la ragione all’assoluto cristiano? Dove il fondatore dell’illuminismo europeo, Spinoza, è sinonimo di un sito di barzellette? Abbiamo da poco assistito all’elezione del nuovo papa alla cui cerimonia erano presenti i potenti provenienti da tutti gli angoli della terra: non ci risulta che lo stesso accada, non dico per la Merkel o per Napolitano, ma almeno per Obama o per Xi Jinping. Come evidenziato poi dallo splendido numero di aprile di Limes, L’Atlante di papa Francesco. Hic Petrus hic salta. La strategia della Chiesa per riconquistare il mondo, i dati mostrano che la religione cattolica non è affatto in ritirata e che anzi sta godendo (complice la crisi e lo scontro con il fanatismo islamico) di una nuova e rinnovata linfa vitale a livello mondiale. Non si vede perché questo non debba avvenire anche in Europa dove del resto non basta (ad ulteriore prova di quella tesi di Galli della Loggia) che il mainstream dell’opinione pubblica non si alzi mai a sostegno del punto di vista dei cattolici: questa è veramente una preoccupazione da accademici che non conosce la pancia del popolo dove la popolarità e il consenso nei confronti della Chiesa ha radici forti e antiche.

Per finire segnaliamo un’ultima contraddizione. Se è vero, come dice Galli della Loggia, che la libertà religiosa ha rappresentato storicamente l’origine e la condizione di tutte le libertà civili e politiche, è anche vero che si è trattato della lotta di un potere religioso (la riforma protestante) contro un altro potere religioso (la controriforma cattolica) in nome di quella tendenza a ridurre il cristianesimo a fatto privato capace di produrre le attuali libertà politiche e personali. Il fatto di quella riduzione, che non sembra piacere a Galli della Loggia, è esattamente la premessa della conclusione che si vuole mantenere.

Nuovi atei, nuova Chiesa.
Di tutt’altro tenore l’articolo di Giancarlo Bosetti di Repubblica del 3 giugno per il quale invece la fase di aggressione antireligiosa ha oggi lasciato il passo a riflessioni più moderate fino a farsi strada un pensiero laico aperto al dialogo. L’articolo discute della religione in generale e valuta il processo di apertura del laicismo. Il cambiamento di stagione è avvenuto soprattutto in ambito anglosassone, dove del resto più forti erano stati gli accenti antireligiosi avvenuti a seguito degli eventi dell’11 settembre. Anche per quanto riguarda l’atteggiamento verso il cristianesimo, non si registrano più gli attacchi che in passato venivano sferrati contro i credenti e che coincidevano sostanzialmente nell’accusa della loro minorità intellettuale.

Centrato invece esplicitamente sulla Chiesa cattolica l’articolo di Giuliano Ferrara del 25 maggio nel quale l’istrionico direttore del Foglio celebra l’avvento di papa Francesco come la fine del Concilio Vaticano II. Per usare un gergo che sarebbe a lui caro, la Chiesa del concilio è stata preda di troppe seghe intellettuali, di troppe pippe dialettiche, di eccessivo sinistrismo politico. Con l’avvento di Francesco si ha finalmente un papa che non ha problemi, continua il suo stretto collaboratore Maurizio Crippa,  né quello del Concilio, né quello del moderno e del post-moderno. Dopo papa Luciani, secondo cui il vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole, si è finalmente spazzato via il blabla clericale. Bergoglio ha dunque finalmente voltato pagina e ha superato la storica impasse costituita dal Vaticano II. «Un gesuita – scrive Ferrara – che parla del diavolo e lo frequenta a Santa Marta per infilzarlo ogni mattina in un’omelia serenamente non protocollare, che lascia vuoti, museali, i palazzi apostolici, che fa della diocesi romana la sua grande Madonna protettrice, che persegue scopi con i mezzi relativi della spiritualità discernente, ignaziana. Cazzo che papa». Un papa che definisce pietose le associazioni  filantropiche di carità e poi va a ricevere l’abbraccio della folla sotto la pioggia battente. L’astuzia della ragione è davvero ben poca cosa a confronto con l’astuzia della religione.

 

 

L’agnosticismo intollerante

Nel discorso del 6 gennaio rivolto ad alcuni vescovi di fresca nomina, papa Benedetto XVI si è scagliato con inaudito vigore contro l’agnosticismo. «L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri». Ben diverso il tenore del discorso tenuto ad Assisi nel settembre del 2011 quando invece gli agnostici erano considerati «persone che soffrono a causa dei peccati dei credenti e più vicine al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine». Se non si vuole attribuire incoerenza alle parole del papa, l’agnosticismo si compone ora di due categorie, quello buono e quello cattivo. Una strana partizione per coloro che si dichiarano scettici nei confronti della conoscenza prescindendo dalle categorie di bene e di male.

Quello del papa è in realtà un discorso che ripropone i tratti tipici della violenza religiosa. Questa volta però, grazie alla fortunata circostanza in base alla quale la Chiesa cattolica non esercita più direttamente il potere politico, il suo capo invoca eroismo per i vescovi tramite la capacità di attirare la violenza su di sé: «E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti». Ammesso e non concesso che sia necessario ribadire concetti simili – chi ha mai pensato che il valore e la fortezza consista nell’aggressività? Forse il pontefice si riferisce a passate abitudini della Chiesa? – questo appello all’essere percossi colpisce, è il caso di dirlo, perché ripetuto più volte nel discorso, accentuando la sensazione di avere a che fare con qualcuno che parli con lo scopo di cercare deliberatamente la provocazione.
Vorremmo tranquillizzare il pontefice. La violenza di cui parla può essergli data, come purtroppo avviene in alcune parti del mondo, soltanto dalle religioni come la sua e non certo da agnostici o da coloro che sono gli autentici cercatori della verità, ovvero i filosofi. Per questi infatti non solo non esiste ricorso alla violenza (come ampiamente dimostrato dalla storia) ma, per molti di loro, non si dà nemmeno un cammino verso la verità. Questo per il semplice motivo, come diceva l’apostolo Giovanni, che noi tutti agiamo, ci muoviamo e siamo in Dio (1 Gv 4, 16) così che da sempre l’uomo dimora nella verità.
Eppure il papa insiste su questo tema. «La ricerca della verità era per loro – cioè i magi, ndr – più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente». Si ripropone uno schema classico, quello dell’audizione di San Paolo di fronte ai filosofi di Atene, narrato in Atti 17, 16-34: «Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: Ti sentiremo su questo un’altra volta». Ma si dimentica tuttavia che il vero discorso aeropagitico è oggi soltanto quello della filosofia che da duemila anni vive nella città dominata dalle religioni.

Il discorso del papa dimostra ancora una volta il grande complesso di inferiorità della religione nei confronti della filosofia. La ricca religione, pur avendo tutto dalla sua parte (dogmi, numeri, forza organizzativa, appoggi politici ecc.) manca dell’unica cosa di pertinenza della povera filosofia: la verità. E da sempre la prima tenta di sottrarre alla seconda questa sua prerogativa. Per una sorta di curiosa eterogenesi, i credenti e il papa finiscono per fare la figura dei farisei nei confronti del cieco nato, così come mirabilmente riportato nel lungo e straordinario brano del vangelo di Giovanni (Gv 9, 1- 41). Dopo le loro continue ed incredule indagini, prima tra la gente e poi con i genitori, i farisei finirono per domandare irritati al cieco guarito da Gesù: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi? E questi rispose loro: ve l’ho già detto e non mi avete ascoltato: perché volete udirlo di nuovo? Volete diventare anche voi suoi discepoli?». A questa acuta contro-domanda, che scopriva le loro segrete intenzioni, quelle cioè di voler essere come Gesù, i farisei persero la ragione e finirono per insultare prima e cacciare poi il cieco guarito. La Chiesa sembra oggi essere come quei devoti religiosi, desiderosa, ma incapace, di essere autentica discepola della verità. Ed è proprio questa sua impossibilità a generare la violenza.
All’infuori di qualche timido cinguettio, non sappiamo se alcuni tra agnostici o filosofi abbiano risposto al papa. Certo, la filosofia non ha un pontefice che può parlare ex cathedra avvalendosi di potenti strumenti di comunicazione. La religione tuttavia, nonostante tutte le apparenze contrarie, è più debole nei confronti della filosofia così come il mito è più debole della verità e la tecnica più debole della necessità (e la tirannia più debole della democrazia).

Chi crede e chi smette di credere

Anche questa volta faccio partire una mia, umile, riflessione da un articolo di giornale, e precisamente dall’inchiesta dell’università di Chicago riportata a pag. 30 e 31 de “La Repubblica” del 20 aprile 2012. Lo studio è condotto dal sociologo Tom Smith, su un campione di trenta paesi, circa il rapporto che c’è fra individuo e fede. Dappertutto, o quasi, negli ultimi vent’anni – rileva lo studio – vi è una tendenza al ribasso tra i fedeli: in Italia circa il 10% in meno rispetto al 1991.
Rimangono comunque alte le stime – in Italia – di coloro che credono, fermamente, nell’esistenza di Dio (35,9% fra chi ha meno di 28 anni; il 42,9% nella fascia d’età fra 48 e 57 anni; e perfino il 66,7% in chi ha più di 68 anni). Il dato, a mio avviso, rimane di alta “fedeltà”, anche fra i giovani. Perché il 35,9% dei ragazzi sotto i 28 anni è un numero, comunque spaventoso.
Nell’articolo seguente quello che riporta i dati il teologo Vito Mancuso tenta di dare una spiegazione a questa tendenza di calo della fede. L’idea centrale per Mancuso è il fatto che – come recita il titolo del suo articolo – i dogmi della chiesa non convincono più, che il Vaticano sia troppo legato ad una configurazione della fede cattolica “dogmatica e teista”, che non sia al passo coi tempi, che non modifichi le sue istituzioni (come il sacerdozio, il cardinalato femminile, il celibato, etc…). E quindi – secondo Mancuso – tutto ciò porta ad una perdita della fede nelle masse, ad uno svuotamento delle chiese e quindi ad un personale contatto con Dio da parte dei credenti, che non si affidano più all’ ecclesia.
Tutto ciò mi pare impossibile da sostenere.
La religione cattolica, ma le religioni in generale, perché sono fede non possono non prescindere da dei cardini fissi, a-storici, che non si modificano con il modificarsi della realtà sociale. Le religioni si attuano per mezzo delle persone che credono, e che mettono in atto il messaggio divino (caratteristica principalmente cattolica).
I credenti che determinano da soli il modo di comunicazione con la divinità non sono credenti, sono persone che cercano un appiglio, un gancio nel cielo; perché giustificano la tradizione, perché non vogliono scostarsi in modo decisivo, con una frattura netta, da ciò che storicamente ha delineato ciò che viviamo quotidianamente, ovvero questa nostra società colma di senso religioso, mistico, moralistico e di falso perdono.

Nessuna guerra, nessun tempio

Nel numero #19 dell’inserto culturale del Corriere della Sera, “La Lettura” (pagina otto) ritroviamo un articolo di Edoardo Camurri, sul movimento ateo e non credente.
In modo piuttosto drastico, che probabilmente non avrebbe usato se si fosse parlato della controparte credente, l’autore delinea una mappa delle diverse “sette” di atei che si scontrano sul tema dell’ateismo. La tesi sembra essere quella che i vari atei (dei quali viene stilata anche una mappa, a seconda delle origini o delle influenze: neo-darwinisti, atei-militanti, atei-radicali, atei-profanatori…) si scontrino fra di loro sulla interpretazione del vero ateismo e se esso debba fare riferimento alla teoria darwinista, mettendo in risalto che non c’è un pensiero comune che collega i vari pensatori, che però si definiscono tutti atei.
La prima cosa che salta all’occhio è che nella lista di Camurri non ritroviamo nemmeno un filosofo di quelli veri (c’è Onfray e Vattimo, due che non definirei filosofi, alla stregua di un Severino!), tutti biologi, scienziati vari, matematici e “pensatori”. La seconda cosa che viene da pensare è che, in quanto pensiero libero, ed in quanto non accettazione di una fissità di pensiero, l’ateismo (in tutte le sue forme) non può essere iscritto all’interno di un tempio (si dice nell’articolo che ci sarebbe qualcuno pronto a costruire il tempio dell’ateismo a Londra). L’ateismo è una parte importante della capacità umana di avere un pensiero libero, non vincolato ad una ideologia (perché ogni religione è ideologica, nel senso che iscrive in sé tutte le risposte e tutte le problematiche, risolvendole mediante un processo di inglobamento). L’errore che fa Camurri e che fanno tanti altri sta nel pensare che anche l’ateismo sia una religione, una posizione fissa dal quale scoccare le proprie frecce nei confronti degli altri.

No, no. Non ci sto. L’ateismo è il contrario, è il non accettare risposte grossolane. Ed i veri atei non fanno guerre con chi non la pensa proprio come loro. Non si fanno la lotta.

Un’ultima cosa. Va bene che fisici, biologi, psicologi, pensatori e matematici dicano la loro sulla questione religiosa, e sulla “costruzione del mondo” (gli scienziati quello indagano). Ma di alcune cose parla la filosofia. È la filosofia che guarda il utto, e che “segna il campo” di tutte le altre discussioni.